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Il SOLE 24Ore 21.02.11 - L’Affido è condiviso, il mantenimento no!.,



L’AFFIDO È CONDIVISO, L’ASSEGNO NO. LA PRASSI È RIMASTA IL SOSTEGNO INDIRETTO DA PARTE DEL GENITORE COLLOCATARIO.
di Carmelo Padalino.
Per la lettura completa del pezzo si rimanda al quotidiano citato.

Continua ad arricchirsi la letteratura giurisprudenziale sul mantenimento dei figli.
I giudici di merito e di legittimità continuano a chiarire i doveri economici dei coniugi dopo la separazione. A partire dall'obbligo di mantenimento dei figli che trova la sua fonte nel solo fatto della procreazione e che non viene meno neppure nel caso di sospensione, limitazione o decadenza dalla potestà genitoriale (Cassazione penale, sentenza 43288/09).
Dopo la legge 54/2006, la Cassazione ha chiarito che, in caso di collocamento prevalente dei figli presso un genitore, il giudice deve disporre la corresponsione di un assegno periodico a carico del genitore non collocatario, poiché è lo stesso articolo 155 del codice civile a quantificarlo in relazione ai tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore (Cassazione, Sentenza 22502/10). Dunque, la regola generale continua a essere il mantenimento indiretto dei figli, perché l'affidamento condiviso non significa una ripartizione paritaria dei tempi di permanenza dei figli con i genitori e, quindi, la collocazione prevalente della prole presso uno dei genitori si deve ritenere di primaria importanza per garantire la loro stabilità emotiva e di vita, pur dovendosi prevedere e tutelare ampie possibilità di incontro e frequentazione con l'altro genitore.
L'eventuale applicazione residuale del mantenimento diretto dei figli potrà essere valutata, caso per caso dal giudice. Assume importanza il criterio dell'affidabilità del genitore richiedente (ad esempio, previa verifica se, in passato, quest'ultimo abbia mai provveduto ad acquistare beni e servizi direttamente in favore dei figli), ma anche la compiuta indicazione delle voci di spesa attraverso cui si intende mantenere la prole, non bastando la sola maggiore permanenza, rispetto al passato, del minore presso il genitore non convivente (tribunale di Catania, sentenza 25 settembre 2009).
Quindi, il genitore non può provvedere al mantenimento diretto con tre cene settimanali e tenendo con sé i figli ogni fine settimana, non riducendosi a ciò le loro esigenze, che necessitano anche di una casa, di riscaldamento, di vestiario, di istruzione, di occasioni svago e di vita sociale (corte d'appello di Perugia, sentenza 18 agosto 2010).

La quantificazione. L'assegno di mantenimento va quantificato tenendo conto, anzitutto, delle «attuali esigenze del figlio» (Cassazione, sentenza 26198/lo), a cui l'articolo 155 del codice civile attribuisce sicura preminenza rispetto agli altri criteri, essendo necessario stabilire la somma in concreto necessaria per garantire al minore il soddisfacimento di quelle specifiche esigenze economiche che aveva prima della crisi familiare. Tali esigenze, che devono ricavarsi dalle precedenti esperienze di vita, non sono solo quelle inerenti il vitto, l'alloggio e le spese correnti, ma ricomprendono anche l'acquisto di beni durevoli (indumenti, libri), che non rientrano, necessariamente, tra le spese straordinarie (Cassazione, sentenza 23630/09), nonché gli svaghi, essendo diritto dei fanciulli dedicarsi ai giochi ad attività ricreative (Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959).
La ripartizione interna tra i genitori del mantenimento dei figli avviene in misura proporzionale alle loro risorse economiche, tra cui va considerato il reddito netto depurato dalle imposte, e non lordo, poiché è sul netto che la famiglia faceva affidamento e sul quale rapportava ogni possibilità di spesa (Cassazione, sentenza 9719/10).
Tuttavia, il reddito non è l'unico elemento da considerare per valutare la capacità economica dei genitori (e, spesso, neppure quello più importante, stante la scarsa attendibilità delle dichiarazioni). Bisogna valutare anche il reddito potenziale, derivante sia da ogni bene patrimoniale suscettibile di sfruttamento (come gli immobili), sia da quei redditi che il genitore, anche se disoccupato, ha la capacità di conseguire (Cassazione, sentenza 16551/10). Così il genitore disoccupato, ma dotato di capacità di lavoro professionale (anche generica), non può sottrarsi all'obbligo di mantenere dei figli, ma deve attivarsi e fare il possibile per garantire il soddisfacimento delle minime ed essenziali esigenze dei figli.

Gli ulteriori presupposti. La richiesta di assegno di mantenimento per il coniuge presuppone la mancanza di addebito della separazione nei suoi confronti, nonché la mancanza di adeguati redditi propri per mantenere il medesimo tenore di vita goduto durante la convivenza coniugale e una apprezzabile disparità economica tra i coniugi. Nella ricerca del giusto equilibrio tra le effettive condizioni economiche dei coniugi, il giudice deve valutare, nel loro complesso, tutte le potenzialità economiche, non solo reddituali, dei coniugi (Cassazione, sentenza 2741/11). L’assegno divorzile presuppone inoltre, in capo al coniuge richiedente, oltre la mancanza di mezzi adeguati, anche l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, quali l'età avanzata e la conseguente difficoltà a reperire un lavoro, o patologie invalidanti (Cassazione, sentenza 22501/10).

PUNTO PER PUNTO. LA PROPORZIONALITÀ.
L'articolo 155 del Codice civile stabilisce che ciascuno dei genitori deve provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, laddove necessario, la corresponsione di un assegno periodico in modo da realizzare il principio di proporzionalità.

LA DETERMINAZIONE DELL'IMPORTO.
La fissazione dell'importo dell'assegno deve avvenire in considerazione di cinque parametri:  le attuali esigenze del figlio; il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;  i tempi di permanenza presso ciascun genitore;  le risorse economiche di entrambi i genitori;  la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

CONCRETI BISOGNI.
Nel valutare le attuali esigenze del figlio, il giudice deve chiedersi quale sia la somma necessaria a garantire il soddisfacimento dei suoi bisogni (tribunale per i minorenni di Bari, 6 ottobre 2010). La prole, infatti, ha diritto a un mantenimento idoneo a garantirle un tenore di vita corrispondente, ove possibile, non solo alla condizione economica della famiglia, ma anche a quello recedentemente goduto (tribunale di Novara, 885/10). Nella valutazione complessiva, si dovrà tenere conto che alla crescita del minore consegue l'aumento delle esigenze economiche (tribunale di Monza, 1750/10.)

LE VOCI EXTRA.
La ripartizione della percentuale delle spese straordinarie a carico di ciascun genitore dovrà avvenire non già nella misura fissa e prestabilita del 50%, ma tenendo conto del principio di proporzionalità e della disparità di redditi degli stessi (Cassazione, 14965/07, e corte d'appello di Bologna, 20 maggio 2010), con la conseguenza che la quota maggiore (60,70 e, persino, 90 per cento) dovrà essere posta a carico del genitore più facoltoso (corte d'appello di Catania, sentenza 25 marzo 2010.)

I FIGLI COINVOLTI.
Secondo l’ultima relazione Istat, nel 2008 il 70,8% e il 62,4% dei divorzi hanno riguardato coppie con figli avuti durante la loro unione. I figli coinvolti nella crisi coniugale dei propri genitori sono stati 102.165 nelle separazioni e 53.008 nei divorzi.

LE ALTRE VOCI.
SPESE ECCEZIONALI NON SEMPRE A METÀ.
Pur non menzionando gli articoli 147,148 e 155 del codice civile espressamente le spese straordinarie fra gli obblighi di mantenimento dei genitori, il giudice, nella generalità dei casi, inserisce nella sentenza di separazione o di divorzio, dopo la quantificazione dell'assegno mensile di mantenimento per i figli, la formula <>. Una dicitura che comporta due problemi: cosa si intende per spesa straordinaria e come va ripartita tale spesa tra i genitori. Per la prima questione, lo stesso aggettivo "straordinario" indica che si tratta di spese che non rientrano nella normalità della vita dei figli, ma sono conseguenza di situazioni eccezionali e imprevedibili (tribunale per i minorenni di Bari, decreto 6 ottobre 2010), con particolare riferimento alla loro salute (Cassazione, sentenza 7672/99). La Cassazione ha affermato che la domanda di riconoscimento delle spese straordinarie trae la sua ragione da esigenze saltuarie dei minori, mentre la richiesta di mantenimento da esigenze continuative degli stessi (sentenza 6201/09). E così, nell'arco di un intero anno di vita del figlio, è prevedibile, e non straordinario, che questi abiti in una casa (con i costi per la manutenzione ordinaria e per il pagamento delle utenze domestiche), si vesta (acquistando capi di abbigliamento), si ammali (con necessità di acquisto di antipiretico, sciroppi espettoranti, medicinali da banco o di visite dal pediatra), si iscriva a una scuola (ovvero a un'università), con i relativi costi che tale frequenza comporta (acquisto del materiale di cancelleria, dei libri di testo, pagamento delle tasse scolastiche o universitarie, eventuali rette mensili di scuole private, spese per il semiconvitto o la refezione scolastica, spese per la permanenza fuori casa presso la sede universitaria), pratichi uno sport (pagamento della tassa di iscrizione e delle rette mensili di frequentazione di un centro sportivo), utilizzi mezzi di trasporto (ciclomotore o mini-car), effettui dei viaggi, estivi o invernali, insieme al genitore convivente.
Viceversa, è straordinaria la spesa per l'apparecchio ortodontico, o per ripetizioni e lezioni private, considerato che tale esigenza, imprevedibile, diventa attuale a seguito del cattivo rendimento scolastico, a meno che l'esigenza di sostegno scolastico del minore sia permanente (ad esempio, perché il figlio è affetto da patologie invalidanti).

MAGGIORENNI.
Il diritto del figlio a essere mantenuto dai genitori non cessa con il compimento del diciottesimo anno e non prevede un termine finale, che va individuato, caso per caso, con il raggiungimento della possibilità di autosufficienza economica del figlio e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti con l'età della prole (Cassazione, sentenza 12477/04). Il maggiorenne, finché non si renda autonomo, è equiparato al minorenne e il genitore separato, o divorziato, ha diritto a percepire dall'altro un assegno per il suo mantenimento purché sia con questi convivente (è ritenuto tale il figlio, studente universitario fuori sede e pendolare, che ritorni a casa solo nei fine settimana ovvero ogni volta gli impegni glielo consentano: (Cassazione, sentenze 6681/10 e 17275/10). L'assegno per il maggiorenne non può essere disposto d'ufficio, ma deve essere richiesto dal genitore convivente (Cassazione, sentenza 66o6/10) al quale spetta anche l'onere di dimostrare che il figlio non è autosufficiente (Cassazione, sentenza 16612/10) non essendo onere dell'altro genitore fornire la <> dell'inerzia del maggiorenne nella ricerca di un lavoro ovvero del rifiuto ingiustificato di offerte lavorative.
11 dovere di mantenimento cessa quando il figlio ha iniziato un'attività lavorativa tale da consentirgli una concreta prospettiva di autonomia economica, ovvero abbia raggiunto un'età tale da far presumere la capacità di provvedere a se stesso, salvo il caso di grave minorazione fisica o psichica (Cassazione, sentenza 1830/11).
Tuttavia, non ogni lavoro può ritenersi idoneo a esonerare il genitore dal dovere di mantenere il maggiorenne, ma solo quell'attività lavorativa che gli consenta un reddito sufficientemente stabilizzato che non sia incongrua rispetto alle concrete e ragionevoli aspettative del figlio (tribunale di Catania, sentenza 14 gennaio 2011, secondo cui non è autonoma la figlia venticinquenne che svolge la pratica presso lo studio di un commercialista e percepisce duecento euro al mese). Inoltre, non è in colpa il figlio che rifiuti un lavoro non adeguato alla sua preparazione, quanto meno nei limiti di tempo in cui le sue aspirazioni, anche universitarie, abbiano una ragionevole possibilità di riuscita e il rifiuto sia compatibile con le condizioni economiche della famiglia (Cassazione, sentenza 24108/08).

L'ARRETRATO SI CHIEDE DAVANTI AL GIUDICE.
Il genitore convivente con i figli può chiedere all’altro, oltre il pagamento di un contributo di mantenimento per il futuro, anche il rimborso pro quota delle spese, ordinarie e non, già interamente sostenute a favore della prole sin dalla nascita (ad esempio se si tratta di genitori non uniti in matrimonio e che non hanno mai convissuto) ovvero dalla cessazione della convivenza coniugale o di fatto. Ciò in quanto l’obbligo di mantenere i figli decorre dalla nascita e dalla stessa data decorre l’obbligo di rimborsare pro quota l’altro genitore che abbia provveduto integralmente al loro mantenimento. Tale domanda va proposta al tribunale ordinario, non solo in caso di figli legittimi, ma anche per quelli naturali, trattandosi in entrambi i casi, di una lite tra due soggetti maggiorenni avente ad oggetto il diritto di regresso tra i condebitori solidali (cassazione, sentenza 674/11). L'accertamento della somma dovuta in restituzione, sebbene suscettibile di valutazione equitativa, trova il limite negli esborsi in concreto o presumibilmente sostenuti dal genitore che ha per intero affrontato la spesa, non potendosi prescindere, in entrambi i casi, dalla conservazione del complesso delle specifiche, molteplici e variabili esigenze della prole o presumibilmente sostenuti dal genitore che ha per intero affrontato la spesa, effettivamente soddisfatte nel periodo da considerare ai fini del rimborso, né dalla valorizzazione delle sostanze e dei redditi di ciascun genitore (Cassazione, sentenza 22506/10).

DOMANDE E RISPOSTE
1) L’IPOTECA SUI BENI.
Il giudice della separazione può adottare provvedimenti per vincolare il coniuge obbligato a pagare? Se c'è timore che il coniuge tenuto a pagare l'assegno possa interrompere i versamenti, il giudice della separazione può vincolare i beni di questi, iscrivendo un'ipoteca sugli immobili di proprietà dell'obbligato. Così, se in futuro non dovesse mantenere gli impegni, l'avente diritto al mantenimento potrà giocare la carta del sequestro dei beni e potrà rivalersi sui beni ipotecati, facendo valere i suoi diritti anche verso eventuali terzi acquirenti. Il giudice può anche prevedere, tra le condizioni, la ritenuta alla fonte di parte dello stipendio del coniuge dipendente, che verrà versato direttamente al beneficiario del mantenimento.

2) VA PROVATA LA VOLONTÀ.
In quali casi il genitore può essere esonerato dal mantenimento del figlio ormai maggiorenne?
L'obbligo di provvedere al mantenimento della prole non cessa al raggiungimento della maggiore età, ma permane finché il figlio non sia economicamente indipendente. Tuttavia, il genitore che vuole liberarsi dal pagamento potrà sempre agire in giudizio per dimostrare che il ragazzo svolge un'attività lavorativa che lo rende autosufficiente, o, in alternativa che lo stato di disoccupazione dipende dalla sua volontà. Non esiste una regola generale. Il giudice dovrà verificare, caso per caso, se l’inattività del ragazzo sia dovuta o meno alla sua inerzia. E se non ne ha colpa. Il mantenimento continua ad essere dovuto.


3) STOP ALL’USO DEL COGNOME.
A seguito della separazione o del divorzio, può essere vietato alla moglie l'utilizzo del cognome dell'ex marito?
In base all'articolo 156-bis del codice civile, il giudice può vietare alla moglie l'uso del cognome del marito, se lo ritiene pregiudizievole. Per lo stesso motivo, potrà autorizzare la coniuge a non utilizzarlo. In entrambi i casi, però, servirà una domanda specifica da rivolgere al giudice, che altrimenti non potrebbe pronunciarsi. A differenza della separazione, con la pronuncia di divorzio la coniuge non può più utilizzare il cognome del marito, a meno che il tribunale non glielo abbia permesso. Contro l'uso non consentito, il coniuge potrà agire in giudizio per bloccarne l'utilizzo ed ottenere il risarcimento del danno. Il danno subìto, però, va provato.

4) REQUISITI NECESSARI.
Esistono i presupposti per assegnare la casa familiare al coniuge non proprietario in assenza di figli minorenni? L'assegnazione della casa familiare deve sempre corrispondere all'interesse della prole minore a conservare, in un momento delicato come quello della separazione dei genitori —non solo i rapporti personali con entrambi- ma anche l'ambiente domestico in cui è vissuta fino ad allora. L'assegnazione della casa familiare, pertanto, “segue” l'affidamento della prole. In assenza di figli minorenni (salvo accordo delle parti) non esistono i presupposti per un provvedimento di assegnazione Nell'abitazione al coniuge che non ne sia proprietario o che non vanti altri diritti sull'immobile. Il godimento della casa, comprende anche quello dei mobili e dei suppellettili che la arredano, esclusi i beni strettamente personali del coniuge.

di Carmelo Padalino.
Per la lettura completa del pezzo si rimanda al quotidiano citato.




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